Piero Gilardi

Piero Gilardi

Dal 15 settembre al 28 ottobre 2022

La mostra presenta una selezione di opere in poliuretano di Piero Gilardi (Torino, 1942) dagli anni Settanta agli anni Novanta. Se è vero che la natura ha da sempre esercitato sull’uomo fascinazione e ispirazione, dalle grotte di Lascaux fino agli artisti contemporanei, la proposta di Piero Gilardi ristabilisce, e in certo qual modo rifonda, il vincolo di comunanza e di vicissitudine che abbraccia uomo e natura, fino a trovare una sintesi personale tra l’evoluzionismo di Darwin e la teoria dei New Media e dell’Artificial Life.

Il lavoro dei Tappeti-natura, iniziato alla metà degli anni Sessanta, evidenzia, anche nei suoi più recenti sviluppi, l’interconnettività che lega l’uomo al mondo, oltre alla capacità di co-evoluzione nel tempo di tale relazione. Questo profondo legame è apparso in tutta la sua strutturale evidenza in seguito allo sviluppo nella seconda metà del secolo scorso della cibernetica e della teoria dei sistemi e ritorna nell’opera di Gilardi nel suo approccio multisensoriale di apertura e confronto, nelle sue recenti installazioni interattive e multimediali e, a partire dal 1985, nell’elaborazione del progetto Ixiana, che prende forma nel grande Parco d’Arte Vivente di Torino. 

Molti i quesiti messi in campo dal lavoro di Piero Gilardi. Che cosa è veramente natura e che cosa è l’opera d’arte? Come sta cambiando non solo la definizione di natura e di naturale, ma quella complessiva dell’uomo e dell’umano, anche alla luce delle tecnologie dell’A.I.? Quali sono quindi le differenze che separano il vegetale, l’umano, l’animale e il minerale?  A questi interrogativi fa seguito la considerazione del ruolo della tecnica nel nostro tempo, l’antropizzazione del mondo e la fine dell’antropocentrismo tra il divenire-macchina e il divenire-terra.

Gilardi ha presentito, fin dagli anni Sessanta, come sotto la pressione di una tecnologia sempre più invasiva, i confini tra uomo e natura, tra oggetto e corpo organico, andassero via via trasformandosi e sovrapponendosi, aprendo a nuove forme di coesistenza e di soggettività, talvolta paradossali ma non necessariamente distopiche. 

I frammenti di natura poliuretanica non rappresentano e non alludono, ma divengono vettori sensoriali, anche attraverso la paradossalità delle loro relazioni con la realtà naturale, che sollecitano il cervello dell’osservatore a fornire nuove risposte in corrispondenza di inediti stimoli. In questo modo le sorprese e i misteri della natura, attraverso la supposta artificiosità dell’arte, divengono sonde gettate nella reattività dell’umano, nella sua capacità di produrre nuovi orizzonti di senso, o di non senso, a seconda dei casi. Il gap tra familiare e perturbante che si prova di fronte ai Tappeti-natura, crea quindi la distanza, l’ostruzione, la “discrepanza”, secondo un termine usato dall’artista, che permette all’osservatore di ricreare la natura scardinando i codici acquisiti. In questo caso quindi la natura non è soltanto quella congelata nel frammento di poliuretano a cui quell’immagine particolare rimanda, ma è anche quella dei collegamenti neuronali messi in gioco dall’interazione tra l’artista e il fruitore dell’opera, e della capacità che ne deriva di estendere il concetto di vita anche all’artificiale, oltre le barriere della distinzione tra organico ed inorganico. 

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